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Parte I)...
Ad accompagnarmi, dall’oceano al confine brasiliano, fu una ragazza lettone, A. F., detta Sanechka, ventiduenne dal corpo di un marmo che dà l’idea del burro (per capirci: la “Proserpina” del Bernini. Ma più bella).
Incontrai Sanechka nella lobby dell’Hotel a-un-sacco-di-stelle, dove si stava svolgendo il Congresso Mondiale “Studenti in Medicina against hunger”. Congresso al quale io ero stato invitato, e tutto spesato.
Io, magro studente di medicina, ero stato pregato (!) di partecipare a questo evento (mondiale e super costoso), a causa di una omonimia che, da sempre, mi lega ad un altro Donatello LaNinfa, come me studente di Medicina qui a Roma e, a differenza di me, responsabile del CC Project.
Questo “Project” è una specie di collaborazione umanitaria tra 9 Paesi con il grano - Italia in testa (benché in Italia di grano ce ne sia poco)- e l’India (dove di grano ce n’è, ma è ben nascosto).
Donatello LaNinfa fu invitato a parlare di tutte le attività del CC Project in India: dall’assistenza medica, alle adozioni, al finanziamento di microimprese, alla costruzione di scuole… (un’impresa enorme, fuori dall'ordinario insomma, un'impresa di cui io,
of course, non sapevo un tubo…).
Ovviamente, quando ricevetti l’invito per posta elettronica (donatellolaninfa@****.com è, in effetti, molto simile a donatello.laninfa@****.com), mi guardai bene dal far notare l’errore. Risposi all’appello, scambiai un paio di mail con i responsabili del Congresso, mi organizzai sul da farsi e, infine, andai, “pensando” di essere stato scelto in quanto studente di medicina, bello e simpatico.
You know, a volte è gustoso essere stronzi.
Sanechka se ne stava seduta nella lobby, aspettando che la cabina del telefono si liberasse.
Rientravo dalla spiaggia con il solo desiderio (legittimo,
mon dieu!) di buttarmi nella vasca (idro…beninteso); lei leggeva una rivista. Indossava una gonna corta, e la maglietta blu che avevano distribuito tra i partecipanti al congresso. Nella penombra della hall, A. aveva il viso e le braccia che brillavano come i marmi sotto le candele di una chiesa. Quando la vidi accavallare le gambe, venne voglia immediatamente anche a me di telefonare a qualcuno.
Mi sedetti sulla poltrona alla sua sinistra (il mio lato destro è meno brutto dell’altro):
- “
D’ya need 2 phone?” - (voilà, il trucco è tutto qui. Se parli con una straniera, alle prime due o tre frasi che dici, dagli un accento tipo “figlio-di-Texani-nato-ad-Harlem-e-trasferitosi-in-tenera-età-in-California”, nove volte su dieci, la persona che hai davanti crederà che parli un super-inglese-cazzuto, quindi si intimorirà e, per paura di dire fregnacce, userà solo un basic-english-semplice-semplice; evitandoti così la figura del piccolo studente di medicina che non capisce e che conosce solo qualche testo degli U2 (letto ùddue).
…certo, ogni tanto capita che quella, l’inglese supercazzuto lo parli davvero; ma in tal caso, basta attenersi al piano di emergenza, detto del “guarda-là-c’è-John-scusa-ma-è-una-vita-che-non-lo-vedo (-defilarsi-come-geco-spaventato)”.
Ripetei: - “
Have to phone?” -
(CONTINUA)