24 feb 2009
-- Il Principio di Heisenberg IX --
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Mi aspettavo frasi di circostanza, una lenta ritirata. Pensavo che un discorso del genere l’avrebbe spaventata e invece sospirò: - “…che dire…incredibile. E non sai spiegarti perché è scomparsa così?... Hai avuto altre ragazze, poi? -
- “Poco. E niente di serio” -
- “Cioè?” -
- “…” -
- “Tu ami ancora A.?” -
- “No. E so che è naturale che sia così. Ma quando mi fermo a rifletterci, mi spiace, perché in fondo non è così che dovrebbe essere” -
V. sembrò esitare.
Sembrò cercare le parole giuste: - “Da come la racconti, sembra un romanzo. Sai che il sogno di molte donne è vivere questo racconto… cioè, anche se solo per pochi giorni, essere al posto di A.?” -
- “…” -
A quel punto, scioccamente, lo feci: - “Beh, tu ci sei” -
- “…” -
- “…” -
- “Ma io non sono Sanechka” -
- “Lo so, V.” – presi un bel respiro – “sì, scusami V., è solo che, ascoltando te ho avuto la sensazione, per un attimo, di capire la posizione di A. del perché sia svanita nel nulla, del perché…”
Lei si alzò di scatto, fece spallucce, poi disse guardando ad di sopra della mia testa: - “Ok, è tardissimo. Ora vado a casa a studiare, che fra un po’ spero di fare l’esame di Neurologia” -
- “Uh?... Sì, ti do uno strappo…” -
- “No, non preoccuparti, ho una mia amica che viene a prendermi in reparto tra mezz’ora” -
E sorrise.
Senza socchiudere le labbra.
(Continua)
12 feb 2009
-- Il Principio di Heisenberg (Parte VIII) --
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V.M. mi disse di essere nata fuori Roma e di essersi trasferiti qui da poco, che prima era iscritta ad un’altra Facoltà, in un’altra città. Mi raccontò di suo padre e del suo male, del disprezzo per i dottori che aveva alimentato il suo desiderio di essere chirurgo. Mi parlò delle sue sigarette e della sorella che non ha. E mi fatto vedere dove vive e mi ha parlato dei suoi coinquilini che dormono sempre (e mi ha detto che lei deve fare piano quando è in casa per non svegliarsi). Mi ha detto che canta quando fa le pulizie. Mi ha raccontato dei suoi studi di pianoforte e del suo mancato esame di solfeggio, e altro, molto altro.
Tutto quello che due persone si direbbero in due anni.
Ci salutammo sotto il portone di casa sua. L’avevo accompagnata con lo scooter, e durante tutto il tragitto l’avevo guardata dallo specchietto retrovisore; quanto avrei voluto che fosse la mia Sanechka.
Ci vedemmo qualche giorno più tardi. V.M. tornò per ritirare la documentazione per partecipare al Concorso Erasmus.
Si sedette davanti la mia scrivania con quel suo sorriso devastante (riuscirò mai ad abituarmici?): - “Ma tu mi aiuteresti a partire?” -
- “Uhmmmm…” -
- “Potresti?” -
- “Uhmmmm…Andiamo” -
- “Dove?” -
- “A mangiare; ti porto in una trattoria tipica di Roma, conosco il proprietario e non ci farà pagare… anche perché non c’ho una lira…” - dissi, sospingendola -
- “...ma no…non posso, devo andare a casa a studiare… assolutamente… no, no… ma poi tu non devi lavorare fino all’una?…” -
- “Facciamo che devi corrompermi per farti aiutare per l’Erasmus” -
Dieci minuti dopo eravamo su Corso Italia.
Si era fatta convincere e, come Sanechka, diventava ancor più bella quando decideva di fare qualcosa di sbagliato.
Il sole aveva deciso di risparmiarci per oggi, tanta luce e poco caldo. Ero soddisfatto: sapevo che avremmo mangiato ottimamente, poi l’avrei riaccompagnata a casa in tempo per studiare.
E avremmo potuto parlare di nuovo.
Invece no. La trattoria di Bruno era chiusa (Bruno sappi che ti odio)
- “Mi spiace” -
- “Dai, non potevi sapere…entriamo qui?” -
Entrammo in un bar e mangiammo un gelato. Poi mezza passeggiata: “Ti va?” chiese
Qualunque cosa; ovunque, se guidato da questa voce, da questo viso.
Dopo una mezz’ora tornammo al Policlinico e ci fermammo a chiacchierare nello stesso bar dove sedemmo la prima volta. Decisi di raccontarle di Sanechka e di quell’incredibile somiglianza.
(Continua)
31 gen 2009
-- Il Principio di Heisenberg (Parte VII) --
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Erano passati due anni. Ed ora, lei, era là.
- “Posso?” - domandò -
- “Devi” - risposi (“ma sei tu? cazzo, sei proprio tu?” pensavo così forte da sentire i miei pensieri nelle orecchie)
Andammo a prendere un gelato al bar, giusto fuori il perimetro del Policlinico. Erano le 15 e faceva ancora un caldo boia. Ci sedemmo ai tavoli esterni, sotto un ombrellone.
La ragazza che mi stava davanti si era presentata come V.M., aveva 24 anni. Studiava medicina ed era venuta nell’ufficio dove lavoravo per avere informazioni sul bando Erasmus.
La guardavo parlare e mi sembrava di essere tornato nella veranda dell’albergo. Mentre seguivo le sue labbra, il sole sembrò diventare più grande e caldo, il gelato divenne una coppa di macedonia e il passar lontano delle auto mutò nello sciabordio delle onde, dietro di noi.
Da dentro al bar il via vai delle persone portava ventate di musica. In quel momento la radio suonava un brano di “Gerard De Palmas” (mai sentito prima, qui in Italia)
Tu me manque tellement, j’aurais jamais cru autant, j’arrive à me demander: M’aurait-tu ensorcelé?
Non so che diavolo mi prese, ma all'improvviso, mentre parlava, le chiesi: “Non sei Sanechka, vero?”
Era identica. Non solo le assomigliava nel viso perfettamente ovale, ma nei gesti così leggeri e precisi, nel suo inclinare un poco la testa mentre parlava, nel colore della pelle, trasparente come la sua voce.
Già, la voce, quella era la voce della mia Sanechka, quella voce che mi aveva coccolato a letto in quelle notti fresche, nel mezzo delle pianure venezuelane. Non fosse stato che la persona davanti a me parlava un perfetto italiano, privo di ogni accento… nessun accento, né un’inflessione dialettale.
Un attimo prima che lei mi rispondesse, capì di essere fottuto… “chi è Sanechka?”
Stava sorridendo.
Passammo ancora due ore al bar, con la sua piccola imperfezione che rendeva il suo sorriso così bello.
Non parlammo di A.F, ne’ del Venezuela. E ascoltai molto più di quanto raccontai. Mentre l’ascoltavo, continuavo a domandarmi quale potesse essere la probabilità di conoscere due persone così simili l’una all’altra, due esseri apparentemente unici ma doppi, che presentano gli stessi pregi e le stesse imperfezioni, a distanza di due anni e in due posti così lontani.
Le macchine continuavano a passare veloci e silenziose lungo Via Morgagni, il sole si era ormai appoggiato sulla terrazza dell’Istituto di Oftalmologia del Policlinico. Nel bar continuavano ad entrare studenti, medici e infermieri assetati, e continuavano ad uscire studenti, medici, infermieri rinfrescati. E pezzi di musica francese
si tu veux me voir par terre, tomber en genoux, mordre la poussiere, si tu veux ma peux pas de problem, je t’aime... ma vie n’est plus un problem, je t’aime
(Continua)
22 gen 2009
-- Il Principio di Heisenberg (parte VI) --
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Vidi Sanechka per l’ultima volta al gate n° 12 per i voli internazionali dell’aeroporto di Caracas.
Erano le 10.20; io avrei lasciato il Venezuela cinque ore più tardi.
Tornati a casa, lei si mise (persino!) a studiare l’italiano. Ed io il russo (già, dimenticavo di dire: lei studiava in Lettonia, ma era Russa). Nei mesi successivi, ci furono delle mail, degli sm, qualche volte delle rapide e frustanti telefonate.
All’inizio ci promettevamo di incontrarci il prima possibile, poi si diceva “vediamoci”, poi è subentrato il “soon or later”. e poi abbiamo cominciato a scordare di darci un appuntamento.
Le ultime mail che ho ricevuto erano scritte in un italiano comprensibile (diciamo tra Biscardi e mia cugina di Bari)… ed io, si sappia, ho imparato ben 98 vocaboli in russo, contati uno ad uno, parolacce escluse.
Poi, più nulla, un giorno non ha più risposto alle mail, o agli sms, e il telefono non ha più squillato. Tramite amici di amici di amici (a partire da uno studente russo conosciuto in Venezuela) scoprii che A. non studiava più alla “K….”, ne’ lavorava più al Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale di Riga. Non potevo pretendere informazioni più precise. Avrei potuto cercare nell’albo dei medici, o tra gli studenti laureati quell’anno alla “K….”, avrei potuto, con l’aiuto di Internet e di Natalia (la mia pazientissima amica che cercava di insegnarmi il russo) tentare di trovare una traccia, un indirizzo, qualcosa… ma non feci nulla. Era semplicemente andata via, e non aveva voluto dirmi dove fosse diretta.
Così banalmente finisce la mia relazione con A.F., detta Sanechka, donna bellissima dal viso di zucchero.
La mia vita non fu, ovviamente, sconvolta da questo.
Continuavo ad essere un pretender-studente di medicina, sempre prossimo alla laurea e totalmente privo di ambizioni.
Continuavo a lavorare come borsista alla Biblioteca di ORL, continuavo a fingere di studiare, continuavo a non accettare i voti, continuavo a non capire le domande dei Professori, continuavo a non domandarmi “che cazzo vuoi fare dei restanti giorni della tua misera vita?”. Insomma continuavo a fare la vita media dello studente medio.
Poi un giorno accadde qualcosa di decisamente imprevisto: ero in Presidenza (dove lavoravo part-time) e stavo ricevendo gli studenti Erasmus per preparare le loro domande d’iscrizione. Era un giorno apparentemente come i precedenti: i soliti amministrativi che chiacchierano delle solite cose, bevendo il solito caffè che, come al solito, è cattivo. Ed io lì in mezzo, seduto a fare un lavoro per il quale ci vorrebbe un laureato in lingue moderne assunto a tempo pieno, e che invece la Venerabile Università di Roma “Sapienza” ha deciso di affidare ad un pirla di studente (il sottoscritto) che parla quattro lingue (almeno stando al Curriculum che ha presentato per farsi assumere), ma le parla tutte decisamente male.
Ero stoicamente sopravvissuto alla spiegazione telefonica, ad una studentessa di Sevilla, sul perché la "Sapienza" non fornisce ne’ l’alloggio, ne’ la garanzia che gli stage le siano riconosciuti, ne’ -omissis- (le cose che la "Sapienza" non garantisce sono moltissime), quando, mentre con una mano agganciavo la cornetta e con l’altra mi asciugavo l’abbondante sudore, vedo comparire, incorniciata dalla soglia, la dama dell’ermellino.
A.F. “Sanechka”, la donna dalla voce di miele, era entrata in ufficio, e mi guardava.
Erano passati due anni. Ed ora, lei, era là.
(Continua)
15 gen 2009
-- Il Principio di Heisenberg (parte V) --
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Il congresso fu un successo. Tutti sbronzi e contenti di rhum e con il cuore ben stipato di ottime idee e propositi.
Io ero innamorato a tal punto da fare un intervento in piena Plenary Session (argomento, ovviamente, l’India e il “mio” Progetto… non ricordo bene che cosa dissi, ma deve aver funzionato: so che in seguito il CC Project e Donatello LaNinfa ricevettero un assegno a multipli zeri dal Rotary Club portoghese).
E oggi, se ripenso all’odore dell’Oceano, ho il dubbio che quello che sento nella mente sia il profumo di Sanechka. La mia memoria olfattiva non è certo precisa: non riesco a distinguere tra l’odore del mango della colazione, quello del sale che entrava dalla finestra, e del corpo di lei, addormentata tra le lenzuola leggere del mio letto. Forse quelle sono state le mattine più belle della mia vita.
Poi il Congresso finì.
Quelli che nel frattempo erano diventati amici di bevuta si dispersero: i ragazzi francesi mi proposero di andare con loro a Caracas (“…sac à couche et on s’en fout”), Endura mi offrì l’ultimo pinguino della sua busta (“…it’s the orange one, it tastes like mango”), andava con la sua banda di cyborg alla scalata di non so che vetta…(“no thanks, italians like to use elevators”).
A. mi fece l’offerta decisamente più interessante: continuare a stare assieme.
Avevamo conosciuto Archie: trent’anni circa, un venezuelano del sud che la mattina svegliava tutto l’albergo, cantando canzoni tristissime mentre spazzava i corridoi. Aveva avuto quindici giorni di permesso perché la moglie stava per partorire, quindi rientrava a casa, e se volevamo (e pagavamo il giusto) ci metteva a disposizione il suo furgone e la sua guida. Ci spiegò cosa potevamo fare: saremmo andati a Ciudad Bolivar con un piccolo aereo; recuperato il furgone di Archie, avremmo fatto un bel giro fino a Santa Elena, ai piedi della Gran Sabana, dove Archie viveva con sua moglie. Lì, ci avrebbe affidato a suo cugino per continuare il viaggio verso sud. Arrivati a Puerto Ayacucho avremmo preso un aereo per pochi dollari (e solo molto dopo avrei scoperto che si trattava di un Cessna delle guerre puniche) che ci avrebbe portato a Caracas.
Archie non era in grado di rispondere a metà delle nostre domande (tipo dove dormire, visto che il viaggio sarebbe durato dieci giorni), e noi non avevamo la più pallida idea delle distanze da percorrere. Pagato Archie, ad A. sarebbero restati ancora pochi dollari, a me ancora meno bolivar e, in due, sapevamo solo una mezza dozzina di canzoni in spagnolo.
Impiegammo pochi minuti a decidere di partire con quel pazzo.
Il viaggio che seguì (duemilaquattrocento kilometri, fatti di orizzonti di sabbia, cascate, serpenti, focaccine di mais, bagni nelle lagune, sole, sole e sole) fu indimenticabile, qualcosa che vale la pena raccontare (e leggere).
Questa però è un’altra storia.
(Continua)
13 gen 2009
-- il Principio di Heisenberg (parte IV) --
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Non ricordo che cosa mangiai; ricordo che presi del vino bianco italiano che a lei piacque (io sono mezz’astemio, ma feci finta di sapere quello che chiedevo).
Ricordo che portava un vestitino blu mare che le fasciava il seno e i fianchi e ricordo di aver pensato “ora mi abbasso sotto al tavolo per vedere se finisce con una coda di pesce”.
E ricordo che A. aveva delle bellissime mani, e che c’era ancora il profumo di cocco attorno a lei.
E ricordo che parlammo per tutto il tempo, senza pause; tranne che al momento del caffè.
La gente continuava ad arrivare; sentivo decine di voci attorno a me, un sacco di idiomi incomprensibili e risate in inglese continuavano ad entrare e uscire da quel ristorante (c’erano 400 studenti a quel convegno!). Ci girava attorno un intero pianeta, ma non ho smesso un attimo di guardarla.
Mi stavo innamorando? Possibile? Di già? Io?
Dopo cena andammo sulla spiaggia, proprio di fronte il ristorante.
Camminammo per qualche minuto, lei scalza, con una mano impegnata a tenersi la gonna che si gonfiava di aria e mare scoprendole le caviglie, e l’altra che, non saprei dire quando, si ritrovò a stringere la mia.
Ci sedemmo con l’Oceano che esplodeva ai nostri piedi.
C’era un cielo che, cazzo, non avevo mai visto (ma la luna è sempre stata così? Guardate che qualcuno a Roma s’è fottuto le stelle, da questa parte del mondo ce ne stanno molte, ma molte di più!).
Era il posto giusto, l’ora giusta, lei aveva l’odore giusto, ogni gesto sembrava essere stato provato per giorni.
Parlavamo da ore ormai; e io parlavo il doppio di lei. Letteralmente. lei mi aveva detto che adorava “the italian sound” e mi chiedeva di ripetere ogni cosa in italiano.
E mi lasciava capire con un attimo di anticipo se stava per sorridere. Era felice. La baciai.
2 gen 2009
-- Il Principio di Heisenberg (parte III) --
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Lei mi sorrise.
Aveva il canino sinistro leggermente spostato in avanti, quindi quando stava per sorridere, te ne accorgevi un attimo prima.
Disse che si chiamava A., che studiava medicina a Riga, che era il suo primo congresso, che si stava divertendo, ma si sentiva un po’ spaesata, e che si scusava del suo inglese non perfetto (…visto?).
Io le rispondevo che ero Donatello-ma-chiamami-Donnie, che ero italiano, sì, sì, proprio come Toto-Cutugno-un-italiano-vero, che era il mio millesimo happening, che le avrei presentato qualcuno, che “no, il tuo inglese è quite perfect”, e blablabla, e che mi avrebbe fatto piacere mangiare con qualcuno quella sera.
Sorrise di nuovo, di nuovo quella perlina faceva capolino sul rosa delle labbra.
Mentre parlava mi accorsi che assomigliava tantissimo a qualcuno. Non ricordavo a chi, ero del tutto ipnotizzato dai suoi occhi, però sì, io quel viso lo conoscevo.
E ci misi sei mesi a realizzare a chi assomigliasse Sanechka.
Ero a casa, con le cosce sudate appiccicate alla finta pelle della sedia della mia camera, quando la vidi.
Ero in Internet, e per caso davanti gli occhi mi è comparsa “la dama dell’ermellino”.
Era lei. Stessi capelli lisci che coprono le orecchie, stessa luce sulla (nella) pelle (giusto un po’ arrossata sugli zigomi a causa del sole equatoriale), stesso collo aristocratico…
...dicevo: eravamo lì, seduti a chiacchierare, i nostri sguardi non si mollavano un attimo.
Faceva fresco quella sera e c’era Tom Waits che sussurrava una “Blue Valentine” dagli altoparlanti della hall; mi ero avvicinato con la poltroncina tanto da sentire il profumo di A.: sapeva di cocco, forse era semplice bagnoschiuma oppure la sua carne era fatta davvero di polpa di cocco e le sue labbra erano di vera fragola. Mi immaginavo di morderla sul collo ed ebbi un sussulto. Le luci della hall erano coperte da abat-jour color crema, il che rendeva l’atmosfera morbida come il dormiveglia…
…poi, quell’ingombro carneo che era la rappresentante degli studenti Svedesi (una ragazza di 190 cm per 90 chili che, scoprirò in seguito, si chiamava Endura e si nutriva per lo più di pinguini) riagganciò la cornetta.
Sanechka si alzò (o meglio, credo sia stata il vento a sollevarla), mi passò davanti le ginocchia come una carezza e prese il ricevitore; mi guardò e fece un cenno con la mano “see you later, in the restaurant…”.
Poi compose il numero, e girandosi di nuovo verso di me, mi finì con un sorriso: “…Donnie”.
Ebbi solo il tempo di farle il segno di “9”, indicandomi il polso, prima che lei cominciasse a parlare in russo con il poster dietro al telefono.
Rimasi lì pochi secondi ancora, quindi salii in camera; avevo ancora la sabbia addosso e alle nove mancava meno di un’ora.
Ero contento come un bimbo.
Alle nove meno cinque entrai nel ristorante, dove i partecipanti al convegno si abboffavano di ogni ben di dio. Con lo sguardo affettai tutte le teste cercando quel sorriso: eccola lì, seduta tre tavoli a destra…mi ha visto…sorride.
Sono contento come due bimbi.
27 dic 2008
-- Il Principio di Heisenberg (parte II) --
Ad accompagnarmi, dall’oceano al confine brasiliano, fu una ragazza lettone, A. F., detta Sanechka, ventiduenne dal corpo di un marmo che dà l’idea del burro (per capirci: la “Proserpina” del Bernini. Ma più bella).
Incontrai Sanechka nella lobby dell’Hotel a-un-sacco-di-stelle, dove si stava svolgendo il Congresso Mondiale “Studenti in Medicina against hunger”. Congresso al quale io ero stato invitato, e tutto spesato.
Io, magro studente di medicina, ero stato pregato (!) di partecipare a questo evento (mondiale e super costoso), a causa di una omonimia che, da sempre, mi lega ad un altro Donatello LaNinfa, come me studente di Medicina qui a Roma e, a differenza di me, responsabile del CC Project.
Questo “Project” è una specie di collaborazione umanitaria tra 9 Paesi con il grano - Italia in testa (benché in Italia di grano ce ne sia poco)- e l’India (dove di grano ce n’è, ma è ben nascosto).
Donatello LaNinfa fu invitato a parlare di tutte le attività del CC Project in India: dall’assistenza medica, alle adozioni, al finanziamento di microimprese, alla costruzione di scuole… (un’impresa enorme, fuori dall'ordinario insomma, un'impresa di cui io, of course, non sapevo un tubo…).
Ovviamente, quando ricevetti l’invito per posta elettronica (donatellolaninfa@****.com è, in effetti, molto simile a donatello.laninfa@****.com), mi guardai bene dal far notare l’errore. Risposi all’appello, scambiai un paio di mail con i responsabili del Congresso, mi organizzai sul da farsi e, infine, andai, “pensando” di essere stato scelto in quanto studente di medicina, bello e simpatico.
You know, a volte è gustoso essere stronzi.
Sanechka se ne stava seduta nella lobby, aspettando che la cabina del telefono si liberasse.
Rientravo dalla spiaggia con il solo desiderio (legittimo, mon dieu!) di buttarmi nella vasca (idro…beninteso); lei leggeva una rivista. Indossava una gonna corta, e la maglietta blu che avevano distribuito tra i partecipanti al congresso. Nella penombra della hall, A. aveva il viso e le braccia che brillavano come i marmi sotto le candele di una chiesa. Quando la vidi accavallare le gambe, venne voglia immediatamente anche a me di telefonare a qualcuno.
Mi sedetti sulla poltrona alla sua sinistra (il mio lato destro è meno brutto dell’altro):
- “D’ya need 2 phone?” - (voilà, il trucco è tutto qui. Se parli con una straniera, alle prime due o tre frasi che dici, dagli un accento tipo “figlio-di-Texani-nato-ad-Harlem-e-trasferitosi-in-tenera-età-in-California”, nove volte su dieci, la persona che hai davanti crederà che parli un super-inglese-cazzuto, quindi si intimorirà e, per paura di dire fregnacce, userà solo un basic-english-semplice-semplice; evitandoti così la figura del piccolo studente di medicina che non capisce e che conosce solo qualche testo degli U2 (letto ùddue).
…certo, ogni tanto capita che quella, l’inglese supercazzuto lo parli davvero; ma in tal caso, basta attenersi al piano di emergenza, detto del “guarda-là-c’è-John-scusa-ma-è-una-vita-che-non-lo-vedo (-defilarsi-come-geco-spaventato)”.
Ripetei: - “Have to phone?” -
(CONTINUA)
25 dic 2008
-- IL PRINCIPIO DI HEISENBERG (parte I) --
Per raccontare questa storia, voglio cominciare dalla fine, da qui, da questo letto rigido come una bara, sul quale vedo affacciarsi: la mia ex ragazza (che sta armeggiando con le mie mutande), una donna bionda dalle tette enormi (che mi sta grattando la pancia), il Prof. Conticchi (che dovrebbe farmi sostenere il mio ultimo esame prima della Laurea), Pippo Baudo (che mi ha appena fatto “un enorme in bocca al lupo”), un pappagallo, un anziano Maggiore della Finanza e tre Matrioske.
…e pensare che fino a pochi istanti fa ero al tavolino di un bar, sotto il sole di Luglio, a parlare con una donna bellissima del Piccolo Principe e di tagliatelle con i funghi porcini.
…no, non ci si capisce un granchè così…beh, scusate, ma anche io al momento non è che abbia le idee chiarissime (anche perché F., la mia ex, mi ha appena mollato l’elastico delle mutande sulle palle…e Baudo se la ride…)
…ok, d’accordo, provo a ricominciare, forse è più facile con un
“C’era una volta”
Capitolo I
In Venezuela ho trascorso 17 giorni: la prima settimana, sdraiato su La Isla de Margarita a fare il congressista-consumista (all-inclusive-tanto-non-pago-io), e il resto del tempo a viaggiare, tagliando a metà il Paese, giù giù fino alla Gran Sabana, and back. (CONTINUA)