iLovePalestine.com Donatello LaNinfa: -- Il Principio di Heisenberg (parte V) --

15 gen 2009

-- Il Principio di Heisenberg (parte V) --

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Il congresso fu un successo. Tutti sbronzi e contenti di rhum e con il cuore ben stipato di ottime idee e propositi.
Io ero innamorato a tal punto da fare un intervento in piena Plenary Session (argomento, ovviamente, l’India e il “mio” Progetto… non ricordo bene che cosa dissi, ma deve aver funzionato: so che in seguito il CC Project e Donatello LaNinfa ricevettero un assegno a multipli zeri dal Rotary Club portoghese).

E oggi, se ripenso all’odore dell’Oceano, ho il dubbio che quello che sento nella mente sia il profumo di Sanechka. La mia memoria olfattiva non è certo precisa: non riesco a distinguere tra l’odore del mango della colazione, quello del sale che entrava dalla finestra, e del corpo di lei, addormentata tra le lenzuola leggere del mio letto. Forse quelle sono state le mattine più belle della mia vita.

Poi il Congresso finì.
Quelli che nel frattempo erano diventati amici di bevuta si dispersero: i ragazzi francesi mi proposero di andare con loro a Caracas (“…sac à couche et on s’en fout”), Endura mi offrì l’ultimo pinguino della sua busta (“…it’s the orange one, it tastes like mango”), andava con la sua banda di cyborg alla scalata di non so che vetta…(“no thanks, italians like to use elevators”).
A. mi fece l’offerta decisamente più interessante: continuare a stare assieme.

Avevamo conosciuto Archie: trent’anni circa, un venezuelano del sud che la mattina svegliava tutto l’albergo, cantando canzoni tristissime mentre spazzava i corridoi. Aveva avuto quindici giorni di permesso perché la moglie stava per partorire, quindi rientrava a casa, e se volevamo (e pagavamo il giusto) ci metteva a disposizione il suo furgone e la sua guida. Ci spiegò cosa potevamo fare: saremmo andati a Ciudad Bolivar con un piccolo aereo; recuperato il furgone di Archie, avremmo fatto un bel giro fino a Santa Elena, ai piedi della Gran Sabana, dove Archie viveva con sua moglie. Lì, ci avrebbe affidato a suo cugino per continuare il viaggio verso sud. Arrivati a Puerto Ayacucho avremmo preso un aereo per pochi dollari (e solo molto dopo avrei scoperto che si trattava di un Cessna delle guerre puniche) che ci avrebbe portato a Caracas.

Archie non era in grado di rispondere a metà delle nostre domande (tipo dove dormire, visto che il viaggio sarebbe durato dieci giorni), e noi non avevamo la più pallida idea delle distanze da percorrere. Pagato Archie, ad A. sarebbero restati ancora pochi dollari, a me ancora meno bolivar e, in due, sapevamo solo una mezza dozzina di canzoni in spagnolo.
Impiegammo pochi minuti a decidere di partire con quel pazzo.

Il viaggio che seguì (duemilaquattrocento kilometri, fatti di orizzonti di sabbia, cascate, serpenti, focaccine di mais, bagni nelle lagune, sole, sole e sole) fu indimenticabile, qualcosa che vale la pena raccontare (e leggere).
Questa però è un’altra storia.

(Continua)

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